MENU

Yates Simon (1963-)

Nasce a Croft, in Inghilterra, nel 1963. Nel corso degli anni Ottanta si trasferisce a Sheffield, dove si laurea in biochimica, per poi dedicarsi esclusivamente alle attività di alpinista e di guida alpina. Si ricorda per: aver scalato il Siula Grande dalla parete Ovest (1985) con Joe Simpson; aver compiuto la prima ascensione del Laila Peak e del Nemeka in Pakistan (1987); aver compiuto la prima scalata britannica del Khan Tengri, in Kazakistan (1991); aver aperto una nuova via sulla Torre del Paine, in Cile (1992); aver effettuato la prima ascensione del Monte Ada in Cile (2001); aver scalato per la prima volta la parete Sud-Ovest dell’Hispar Sar in Pakistan (2004); aver aperto una nuova via sul Monte Alverstone in Alaska (2005); aver compiuto otto prime ascensioni nel Milne Land (2008) e altre tredici nel Seven Range (2011) in Groenlandia. È l’autore di: Against the Wall, London, Vintage, 1997; The flame of adventure, London, J. Cape, 2001 (La fiamma dell’avventura, Lecco, Alpine, Studio, 2011); The Wild Within. Climbing the world’s most remote mountains, Sheffield, Vertebrate, 2012 (Selvaggio dentro. Scalate nelle montagne più remote del mondo, Scarmagno, Priuli & Verlucca, 2021).

 

Titolo: The flame of adventure

Luogo di edizione: London

Casa editrice: J. Cape

Anno di pubblicazione: 2001

Edizione italiana di riferimento: La fiamma dell’avventura, Milano, RCS, 2014.

 

L’introduzione del libro presenta Yates impegnato a scalare il Pik Pobeda insieme a Sean Smith e ad alcune guide di nazionalità russa, con le quali si ritrova in difficoltà per alcune gravi discordanze sui metodi di arrampicata. In particolare, i russi usano corde e attrezzature di infima qualità, salgono condividendo sezioni di corda fissa con più componenti del gruppo e sostengono ritmi differenti ma, infine, Yates scrive: «iniziai a capire qualcosa della natura comunitaria dell’alpinismo russo. Per certi versi questo era agli antipodi di quei valori che ritenevo l’alpinismo volesse esprimere. Ero sempre stato attratto da quello che percepivo come il senso di indipendenza offerto dalla montagna» (p. 22) e aggiunge: «Avevo in un primo tempo giudicato gli scalatori russi sconsiderati e incompetenti. Era vero che avevano un altro modo di fare in montagna, un sistema differente. Ma era un sistema che era stato pensato attentamente e modificato sulla base dell’esperienza» (p. 23). Nel primo capitolo, l’autore racconta del periodo della sua laurea, un traguardo vissuto come l’inizio della vita libera, lontana dal mondo materialista degli adulti e dedicata alle ascensioni alpinistiche. In seguito, inizia a scalare sulle Alpi con Alan Wilkie, John Silvester e Joe Simpson. Con quest’ultimo compie anche la famosa impresa del Siula Grande, in Perù, durante cui l’amico sopravvive miracolosamente, ma a parte qualche cenno, l’autore sorvola sui dettagli della vicenda concentrandosi sugli eventi successivi. È interessante, per esempio, la sua riflessione sul rapporto tra turisti e alpinisti quando, prima di scalare la parete Nord dell’Eiger, si ritrova ad essere fissato con terrore da un folto gruppo di individui appartenenti alla prima fattispecie e scrive: «Mi sentivo come se non fossimo più persone reali, ma semplicemente uno spettacolo organizzato per il loro divertimento, un rafforzamento della loro opinione che la pena per il nostro deviare dalle regole sociali sarebbe stata la morte» (p. 64). Successivamente, Yates racconta il suo avventuroso viaggio in Pakistan con Craig Kentwell, dove rimane colpito principalmente dal paesaggio in cui «la forza della natura al lavoro faceva paura, ma era esaltante» (p. 85). Seguono altre ascensioni con amici come Tom Curtis, Andy Cave, Sean Smith, Mike Searle, Mark Miller, Nick Groves e Mary Rose Fowlie. Le avventure alpinistiche si mescolano con le disavventure, i disagi, le malattie e le difficoltà economiche soprattutto in Pakistan e in Nepal, le cui spedizioni vengono descritte nel dettaglio. Interessante anche il viaggio con la fidanzata Anne Murray attraverso Nepal, India e Thailandia tra templi, fiumi, villaggi, giungla e montagne, per poi raggiungere suo fratello Matthew in Australia. Una volta tornato a Sheffield, Yates si sente «uno straniero in patria» (p. 214) e presto comprende come tutto sia cambiato nel frattempo, alpinismo compreso: «Forse il fatto era che l’arrampicata si adattava bene allo spirito del tempo, con la sua enfasi sull’individualità e la capacità di prendere rischi negli affari. In tali circostanze vedevo come l’arrampicata stesse fungendo da potente metafora culturale» (pp. 215-216). Dopo aver lavorato brevemente, Yates torna in Asia per partecipare ad alcune importanti spedizioni organizzate da Doug Scott e compie anche alcune ascensioni nell’Unione Sovietica, entrando in contatto con le contraddizioni della dittatura comunista. Nell’epilogo del volume, scritto a distanza di molti anni dagli eventi descritti, Yates traccia un bilancio del suo alpinismo e della sua autobiografia, affermando di averla scritta per ricordare persone e luoghi del passato, riprovando le medesime intense emozioni.

La sua prosa è tendenzialmente descrittiva, ma nel complesso abbondano anche le sequenze dialogiche. Il linguaggio è piuttosto semplice e comprensibile. Yates arrampica usando corde, piccozze, chiodi da ghiaccio, discensori e jumar. Solitamente compie ascensioni solo in primavera e in estate, dedicandosi ad attività indoor nei mesi più freddi dell’anno. Riguardo al modo di vivere la pratica alpinistica, Yates si spiega già nel primo capitolo: «Il senso di libertà e di incertezza era inebriante […]. Qui, […], potevo agire con una serie di regole non scritte, formulate dai miei contemporanei, molto più libere, che mutavano man mano che le tecniche evolvevano e le altre diventavano obsolete. Quest’etica è oggetto di dibattiti roventi […]. Per quanto mi riguarda, quando arrampico sento di dover rispondere solo a me stesso e a chi arrampica con me» (p. 30). Nell’epilogo, inoltre, scrive: «Molti alpinisti si arrovellano alla ricerca della motivazione che li spinge a scalare le montagne, ma io non ho mai avuto simili dilemmi. So che vado a scalare perché mi piacciono le avventure» (pp. 278-279), i cui ingredienti principali sono «la sfida, il rischio e l’incertezza» (p. 279). 

 

[Clementina Greco, 10 gennaio 2025]

Ultimo aggiornamento

06.02.2025

Cookie

I cookie di questo sito servono al suo corretto funzionamento e non raccolgono alcuna tua informazione personale. Se navighi su di esso accetti la loro presenza.  Maggiori informazioni