Nasce a Pilasco, in Lombardia, nel 1915. Si laurea dapprima in Lettere a Milano nel 1933, poi in Geologia nel 1940. È in questi anni che frequenta un corso di arrampicata organizzato dal G.U.F. per poi diventare allievo di Riccardo Cassin. Nel 1937 frequenta come allievo ufficiale la Scuola militare di alpinismo di Aosta mentre due anni dopo vince la Medaglia d’oro al valore atletico per la salita sulla parete Nord-Ovest del monte Agnér. Nel 1940 entra nel CAAI e viene chiamato alle armi come ufficiale di complemento nel 5° Reggimento alpini. L’anno seguente diventa istruttore di roccia della Gioventù Italiana del Littorio alla Scuola militare di alpinismo di Aosta. Quando giunge la notizia dell’armistizio dell’8 settembre ’43, Vinci si trova a Grenoble e decide di scappare in Valtellina per organizzare un gruppo di partigiani di Talamona, presso cui è noto con il nome di battaglia “Bill”. Poco dopo viene catturato ma riesce a fuggire a Lugano, salvo poi partecipare attivamente alla Liberazione di Como nel 1945. Nel Dopoguerra si trasferisce in Venezuela in cerca di diamanti. Negli anni Cinquanta si dedica ad esplorazioni, ascensioni, lezioni universitarie e consulenze in campo idroelettrico e minerario. Tra il 1942 e il 1958 partecipa alla realizzazione di sei film. Muore a Roma nel 1992. Tra le numerose imprese alpinistiche si ricordano: la prima scalata della parete Ovest del Castello delle Nevere (1936) con Paolo Riva e Camillo Giumeli; della parete Ovest del Pizzo Ligoncio (1938) con Riva; della parete Ovest, poi chiamata via Vinci, della Punta Milano (1938) con Riva; della parete Nord-Ovest del monte Agnér (1939) con Gianelia Bernasconi; della parete Est della Punta Sertori (1939) con Riva e Bernasconi; della cresta Sud-Sudovest, da allora denominata Spigolo Vinci, del Pizzo Cengalo (1939); la prima ascensione dell’Auyàn Tepui (1949) con Fèlix Cardona; del Pico Bolívar dal ghiacciaio settentrionale e dalla cresta Nord (1950-1951); del Cerro Quilindaña (1952) con Giovanni Vergani, Franco Anzil, Arturo Eichel e Paul Ferret e del Nevado Vinci (1952) con Anzil, Valentino Mettler e Vergani. Scrive Samatari (Orinoco-Amazzoni), Bari, Leonardo Da Vinci, 1956; Diamanti (Gran Saban-Caronì), Bari, Leonardo Da Vinci, 1958; Cordigliera. Venezuela, Colombia, Ecuador, Perù, Bari, Leonardo Da Vinci, 1959; Fiori delle Ande, Bari, Leonardo Da Vinci, 1960; Dolomiti, Roma, LEA, 1961; Occhio di perla, Bari, Leonardo Da Vinci, 1966; Orogenesi. Romanzo geologico, Bari, Leonardo Da Vinci, 1969; L’acqua, la danza, la cenere, Milano, Rizzoli, 1973; Lettere tropicali. Taccuino di viaggio di un esploratore, Milano, Mondadori, 1982; L’Altopiano del Rum. Divertimento andino, Torino, Vivalda, 1990.
Titolo: Samatari (Orinoco-Amazzoni)
Luogo di edizione: Bari
Casa editrice: Leonardo Da Vinci
Anno di pubblicazione: 1956
Il corposo volume è costituito da una prima parte, intitolata La spedizione Shiriana, da una seconda parte, ovverosia La spedizione Guayca, e da una consistente appendice. Sono presenti, inoltre, delle cartine geografiche, delle illustrazioni e numerose fotografie che accompagnano il testo. La narrazione è ambientata in America del Sud e, in particolare, nella Guyana, dove l’autore si trova con un gruppo di esploratori per condurre delle spedizioni scientifiche. Seguendo il corso del Paragua, si avvicinano al Cerro Guaykinima e Vinci descrive l’atteggiamento timoroso degli indigeni di fronte alle grandi montagne per la credenza che vi abitino «i Maguaritòn, o spiriti cattivi, cioè i tuoni ed i lampi che ne flagellano le cime, sovente immerse nelle nubi di grosse tempeste» (p. 20). Dopodiché, l’autore racconta l’avventuroso viaggio, della durata di circa due mesi, che conduce lui e il suo gruppo fino all’alto Canaracuni. Qui si fermano per preparare la sceneggiatura del film documentaristico e per riprendere alcune scene riguardanti gli indios. In seguito, l’autore descrive l’ascensione del Sarisariñama con tre amici e tre indigeni, soffermandosi sull’alimentazione, sull’igiene, sulla morfologia del terreno, sul paesaggio e, soprattutto, sulla «flora tutta particolare, di orchidee, epifite, bromelie ed elianfore, ancora sconosciute alla scienza» (p. 65). Il viaggio prosegue tra avventure e avversità, fino a che l’autore e il suo amico Enrico vengono fatti prigionieri dai Samatari, un popolo di indios costituito dai cosiddetti «uomini-scimmia» (p. 121) con i quali poi instaurano una buona collaborazione che li riporta ad essere liberi. La seconda parte del volume racconta l’avventurosa spedizione Guayca, a partire da Canaima, una località della Guyana centrale, nell’ottobre 1954. A concludere il testo si trova un’appendice di carattere scientifico comprendente notizie linguistiche, faunistiche, botaniche, fotografiche e cinematografiche.
Vinci insiste molto proprio sulla descrizione di usi, mentalità e costumi degli indios, evidenziandone pregi e limiti: «il primitivo non è l’essere idilliaco che J. J. Rousseau aveva pensato nelle sue passeggiate tra i boschi del Lemano, ma piuttosto qualcosa che può stare, per i suoi istinti, tra le fiere, e per la sua indole imperturbabile, tra le divinità» (p. 27). In particolare, fornisce numerosi dettagli sui Sape, sui Samatari, sui Makiritari, sugli Scirisciana e sui Uaka. Nel primo capitolo della seconda parte, Vinci scrive: «Tutti eravamo in un certo modo prigionieri della montagna azzurra, quella cordigliera che è sempre di là dell’orizzonte, tra le nebbie del tropico, dove i nostri indios, i nostri diamanti, il nostro oro e le nostre amare disavventure hanno l’identico e indifferenziato colore azzurro dei sogni» (p. 218) da cui traspare il rapporto identitario tra alpinismo e avventura. È proprio il «sentimento di fuga dal mondo civile» (p. 224) a guidare Vinci, così come spiega con chiarezza in più passaggi del racconto, in luoghi incontaminati e selvaggi come le alture dell’America meridionale.
[Clementina Greco, 11 dicembre 2024]
Ultimo aggiornamento
06.02.2025