Nato a Londra il 28 novembre 1832 da un’aristocratica famiglia evangelica, Stephen – padre della celebre scrittrice Virginia Woolf ‒ studia all’Università di Cambridge, dove consegue anche il dottorato di ricerca. Grazie alla sua passione alpinistica, nel 1862 pubblica Peaks, Passes and Glaciers. Nel 1865 diventa giornalista, mentre dall’anno successivo ricopre la carica di presidente dell’Alpine Club fino al 1868. Dopodiché dirige l’«Alpine Club Journal» dal 1868 al 1871. Tra gli anni Settanta e Ottanta del XIX secolo, pubblica tre volumi di filosofia. La sua carriera alpinistica è segnata da numerose prime ascensioni, compiute principalmente con la famosa guida Melchior Anderegg: Wildstrubel (1858), Bietschhorn (1859), Rimpfischhorn (1859), Alphubel (1869), Blümlisalphorn (1860), Schreckhorn (1861), Monte Disgrazia (1862), Lyskamm Occidentale (1864), Zinalrothorn (1864) e Mont Mallet (1871). Muore nel 1904.
Titolo: The playground of Europe
Luogo di edizione: Londra
Casa editrice: Longman, Green and Co.
Anno di pubblicazione: 1871
Edizione italiana di riferimento: Il terreno di gioco dell’Europa. Scalate di un alpinista vittoriano, trad. Giovanna Giargia e Claudia Manera, Milano, RCS, 2016.
Il volume è una raccolta di articoli pubblicati dall’autore nel «Fraser’s Magazine», nell’«Alpine Journal» e nel «Cornhill Magazine» che raccontano le imprese alpinistiche di Stephen a partire dalla scalata del Bietschhorn sulle Alpi Bernesi del 1859. È proprio la zona bernese con la Jungrau, l’Eiger, il Mönch, il Wetterhorn e lo Schreckhorn ad interessare particolarmente, nel corso della sua lunga esperienza alpinistica, lo scrittore londinese. Tra le guide da lui ingaggiate spiccano Melkior e Jakob Anderegg, Charlet di Chamonix, Christian Almer e Ulrich Lauener. Inoltre, compie alcune ascensioni con l’amico Gabriel Loppé, pittore, fotografo e alpinista francese di grande valore che raffigura realisticamente la magnificenza della montagna con una pittura en plein air. Nel capitolo conclusivo, scritto in seguito alla decisione – su richiesta della moglie Harriet Marian Thackeray – di non realizzare più ascensioni, Stephen espone la sua idea riguardo all’alpinismo, inteso come sport, e risponde ad alcuni detrattori.
Lo stile è raffinato, l’autore adotta numerose figure retoriche, tra cui sono particolarmente abbondanti le metafore, ma la prosa risulta brillante, scorrevole e ricca di aneddoti. Le descrizioni colte e imaginifiche, ben lontane da uno scopo scientifico, permettono al lettore di poter fantasticare su quei panorami. Stephen non valuta gli alpinisti come degli eroi ma come degli sportivi. Riconosce l’abilità, la forza e il coraggio delle guide che lo accompagnano, ammirando il loro valore che riconosce essere superiore. Per arrampicare, utilizza la corda e la piccozza. Rileva con arguzia che dal 1861 le montagne stanno «incominciando a perdere la propria fama di luoghi invincibili» (p. 29). Il piacere dell’ascensione risiede, per Stephen, nel superare le difficoltà per poi godere delle bellezze naturali da un punto di vista unico, esclusivo, per privilegiati. Il fascino della montagna non lo esalta ma lo tranquillizza, ha una sorta di «potere sedativo» (p. 130) e, al contempo, ha la «capacità di provocare una mescolanza armonica di correnti emozionali che altrove non è possibile provare» (p. 222). Non vive l’alpinismo come competizione ma come mezzo per entrare in contatto con «gli aspetti più sublimi della natura» (p. 240). Il volume, infine, è corredato da realistiche incisioni di paesaggi alpini.
[Clementina Greco, 18 marzo 2024]
Ultimo aggiornamento
06.02.2025