Ortensia Ambrogina Adelaide Carlotta Aideé Pietrasanta, detta Ninì, nasce a Bois-Colombes, vicino a Parigi, nel 1909, da una famiglia dell’alta borghesia. Rimane presto orfana e si trasferisce a Milano in tenera età, dove studia pittura, musica, fotografia e dove impara a usare la cinepresa. Fin da giovanissima si appassiona alla montagna e ha come guide Tita Piaz e Giuseppe Chiara. Dal 1929 inizia a compiere importanti ascensioni che le danno molta notorietà nell’ambiente alpinistico italiano. Nel 1932 incontra Gabriele Boccalatte che diventerà suo compagno di cordata – nonché marito – con cui scalerà fino al 1936. In seguito alla morte di Boccalatte, Pietrasanta decide si abbandonare l’alpinismo estremo. Nel 1998 viene nominata socia ad honorem dal Club Alpino Accademico Italiano. Muore nel 2000. Si ricorda per la prima ascensione della cresta sud del Thurwieserspitze con Giuseppe Chiara (1929); la prima ascensione femminile della parete nord del Lyskamm (1929); la prima ascensione del Pointe Ninì – in suo onore –; la nuova via sulla parete est e sulla cresta sud-est dell’Aiguille de la Brenva (1934); la prima ascensione del Pic Adolphe (1935); la parete ovest e la cresta sud della Punta Bich dell’Aiguille Noire de Peuterey (1935); la nuova via sulla parete sud-ovest dell’Aiguille Blanche de Peuterey (1936); la nuova via attraverso il pilone nord-est del Mont Blanc du Tacul (1936). Muore nel 2000. Si ricorda anche per: Gabriele Boccalatte, Piccole e grandi ore alpine, a cura di Ninì Pietrasanta, Milano, Ripalta, 1939.
Titolo: Pellegrina delle Alpi
Luogo di edizione: Milano
Casa editrice: Antonio Vallardi
Anno di pubblicazione: 1934
Il volume è costituito da un’introduzione, intitolata La donna in montagna, e da tredici capitoli di varia lunghezza in cui la scrittrice racconta la sua vita da alpinista. È di particolare interesse proprio l’introduzione del libro, strutturata come un dialogo immaginario tra Ninì e un uomo colto riguardo all’anelito giustificato o meno da parte della donna di compiere ascensioni alpinistiche tanto quanto gli uomini. Il discorso, impregnato di ironia e sagacia, ha un impianto logico-deduttivo che conduce il lettore alla medesima tesi di Pietrasanta. Partendo dalla difesa di un abbigliamento mascolino ‒ «a voler essere schietti, né il berrettone, né il giubbone di lana, sono poi così antimuliebri da meritare il biasimo vostro assoluto» (p. 11) – e dell’attività alpinistica femminile in quanto assimilabile atleticamente all’equitazione, al nuoto e al podismo, la scrittrice perora la sua causa affermando: «hanno pure la loro forza i richiami che ci vengono dalle cose; gli inviti onde la natura, per le finestre aperte, ci raggiunge nel nostro soave dominio allettandoci al grande e al bello» (p. 14). Infine, l’autrice riporta una serie di opinioni comuni di conoscenti che la denigrano per la sua mancanza di femminilità, ma al contempo riconosce che «l’atteggiamento […] degli alpinisti uomini verso la nuova competitrice, è, nella grande maggioranza dei casi, quello di una solidarietà assoluta» (pp. 17-18). Nel primo capitolo, invece, Pietrasanta racconta di come si sia avvicinata alle montagne fin dall’infanzia – prima fra tutte il Monte Giovi, in Toscana – ammirandone i paesaggi ed emozionandosi per il senso di libertà offerto da quei luoghi così incontaminati la cui «maestà sublime, la solennità regale […], la poesia profonda […] si svelano al neofita a poco a poco» (p. 31). In seguito, l’autrice descrive la sua prima ascensione d’alta montagna, cioè lo Straling, vissuta come un’avventura «verso le tombe dei Faraoni» (p. 41) tra «cammelli e dromedari» (Ibidem) e tale incoscienza la porta a provare fatiche eccessive che, senza l’aiuto della sua guida, si sarebbero potute rivelare letali. Dopodiché è la volta della Punta Gnifetti in cordata, seguita dal Monte Bianco, dall’Ortles, dal Cevedale, dai Lyskamm, dal Cervino, dalla punta Dufour e dal Cimon della Pala. Nel quinto capitolo, inoltre, si sofferma sulla figura della guida che vede come «un essere che impersona e vivifica la maestà della natura alpestre» (p. 83), per poi descrivere con affetto e riconoscenza Giuseppe Chiara e Tita Piaz. In Ascensioni, Pietrasanta racconta delle sue scalate più memorabili, come l’apertura di una nuova via alla punta Thurweiser, la scalata della parete nord del Lyskamm e della prima ascensione della parete nord del Corno Bianco. L’autrice dedica, inoltre, un capitolo ai rifugi, uno alle sonorità della montagna, uno ai profumi evocati da essa e un altro ai Canti alpigiani dimostrando un’acuta sensibilità verso i molteplici aspetti della montagna. Interessanti gli Appunti di umile umanità che Pietrasanta raccoglie nell’XI capitolo, dando spazio a brevi e lucide riflessioni sul significato, sulle sensazioni e sulle motivazioni che incoraggiano un’ascensione, individuando delle marche trasversali per tutti gli alpinisti. Il ragionamento viene coronato da Come sento l’alpinismo e ….et ultra…. in cui Pietrasanta si dilunga sulla sua personale visione dell’alpinismo e di quella montagna che «lungi dal dividere, […] unisc[e] i figli delle nazioni diverse» (p. 177). La sua prosa descrittiva è poetica, raffinata e imaginifica, mentre la sintassi è prevalentemente ipotattica. La scrittura non considera aspetti tecnici e l’alpinista ‒ che arrampica solo con corda, ramponi e piccozza ‒ insiste sulle emozioni avvertite in montagna, dai rifugi alle vette, dalle passeggiate alle ascensioni, dalle dolci vallate ai ghiacciai. Ogni ascensione suscita in lei un senso di commozione, di corrispondenza tra anima e natura, di percezione dell’infinito. Eppure, come si evince dall’autobiografia, Pietrasanta adotta una «calma ragionata» (p. 68) che le risulta essere necessaria per comprendere e accettare i limiti della «creatura umana» (p. 67) che, in confronto alla natura, è «fragile cosa» (Ibidem). Infatti, «non si affronta la montagna senza un’adeguata preparazione fisica e morale: le difficoltà della salita stimolano il senso dell’osservazione e quello della rapidità delle decisioni e, soprattutto, consigliano l’umiltà» (p. 43). Da quanto emerge dal volume, l’alpinismo per lei muove dallo stupore della bellezza dei paesaggi montani e non dalla volontà di sfidare gli uomini né tantomeno la natura, come esprime chiaramente nel settimo capitolo: «accostar la natura e perseguirla negli aspetti che essa ci offre, anche i più grandiosi e temibili, non vuol dir superarla; significa apprender a venerarla sempre più nelle sue austere potenze, respirarne più da presso gli arcani, riconoscervi un tramite verso il Dio che in essa si svela» (pp. 121-122). D’altro canto, «l’alpinismo […] non è tutto e solo nel salire o nel raggiungere una vetta. Talvolta le discese possono interessare, per la novità del loro svolgimento, quanto le ascensioni» (p. 59). Alle arti, infine, Pietrasanta affida il compito il riprodurre «il caro prodigio» (p. 184) della montagna, avendo modo, così, di rivivere le emozioni provate durante le sue scalate o durante le sue escursioni.
[Clementina Greco, 4 maggio 2024]
Ultimo aggiornamento
06.02.2025