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Nardi Daniele (1976-2019)

Nasce a Sezze, nel Lazio, nel 1976 e inizia a scalare all’età di sedici anni presso i monti Lepini. Diventa istruttore di arrampicata e alpinismo della Lega Montagna dell’UISP ed è a capo di Mountain Freedom, un’associazione che ha lo scopo di divulgare la cultura legata alla montagna. Si ricorda, tra le molte ascensioni, per aver scalato le Grandes Jorasses in solitaria nel 1995; il Gasherbrum II nel 2001; l’Everest nel 2004; la cima middle del Shisha Pangma nel 2005; l’Aconcagua, il Nanga Parbat e il Broad Peak nel 2006; il K2 nel 2007; il Farol West, aprendovi una nuova via con Lorenzo Angelozzi, nel 2009, anno in cui i due compiono la prima ascensione della Punta Margherita; lo Jägerhorn con Giovanni Pagnoncelli e Ferdinando Rollano nel 2010; la Cima delle Murelle e il Monte Camicia, sulle quali ha aperto una nuova via con Cristiani Iurisci e Luca Mussapi, nel 2017; lo Scoglio della Sassetelli con Luca Gasparini e Luca Mussapi nel 2018, aprendo una nuova via. Muore nel 2019 cercando di scalare il Nanga Parbat in invernale, sullo sperone Mummery, insieme a Tom Ballard. Scrive In vetta al mondo. Storia del ragazzo di pianura che sfidò i ghiacci eterni, Formigine, Infinito, 2013, con Dario Ricci; La via perfetta. Nanga Parbat: sperone Mummery, Torino, Giulio Einaudi, 2019, con Alessandra Carati.

 

Titolo: In vetta al mondo. Storia del ragazzo di pianura che sfidò i ghiacci eterni

Luogo di edizione: Formigine

Casa editrice: Infinito

Anno di pubblicazione: 2013

Edizione di riferimento: In vetta al mondo. Storia del ragazzo di pianura che sfidò i ghiacci eterni, Milano, BUR, 2020.

 

Il volume è costituito da una prefazione di Agostino Da Polenza, un’introduzione di Dario Ricci, da tre parti articolate in vari capitoli, dai ringraziamenti e da una postfazione di Daniela Morazzano. Trovano il loro spazio anche ventisette fotografie a colori, corredate da una nota didascalica esplicativa. Nella prefazione Da Polenza presenta Nardi come un grande alpinista e come un uomo «onesto e generoso» (p. I) che viene abbattuto da «un virus perverso nel cervello» (p. III), ossia lo sperone Mummery sul Nanga Parbat, dove perde la vita insieme a Tom Ballard. Anche l’introduzione, scritta da Dario Ricci, è dedicata al ricordo di Nardi per poi presentare la genesi del libro, ideato e scritto a quattro mani con l’alpinista. La prima parte, intitolata Come nasce un alpinista, è composta da tredici capitoli, il primo dei quali ‒ Radici ‒ è scritto da Ricci che racconta le origini alpinistiche di Nardi, da individuare sui monti Lepini, presso Sermoneta, e riporta le parole dell’alpinista che descrive la sua prima traversata da Sezze a Carpineto e altre avventure giovanili, compiute senza l’ausilio di protezioni. Dopodiché, stringe amicizia con Pietro Rosella che diventa il suo «compagno d’avventura con cui condividere […] piccole grandi spedizioni» (p. 24). Nel terzo capitolo, Nardi racconta a Ricci ‒ che riporta tutto per iscritto, così come nel resto del libro ‒ del suo «esame di maturità alpinistica» (p. 33): una variante alla via normale della Tour Ronde, nel massiccio del Monte Bianco, a 3792 metri, accompagnato dalla guida Enrico Jovane (il cui prezzo pagato da Nardi ammonta a 400.000 lire). L’anno successivo scala in solitaria la via normale delle Grandes Jorasses, nonostante venga canzonato dai gestori del rifugio Boccalatte per le sue origini laziali. Successivamente, Nardi si sofferma nel ricordare le sue avventure con Stefano Milani e con Armando Onorati dapprima sui monti Lepini e poi sull’Aconcagua. In seguito, l’autore confronta la sua attività di apneista con l’alpinismo, trovando numerose analogie. Interessanti le pagine in cui descrive una partita a calcio con nepalesi e guerriglieri maoisti presso il villaggio di Kandbari Bazar, nel 2006, prima di scalare il Makalu. L’ottavo capitolo, introdotto da Ricci, è un lungo e dettagliato resoconto della spedizione K2 Freedom 2007, avente lo scopo di scalare il K2 dal versante sud. Il gruppo, guidato da Nardi, è costituito da Mario Vielmo, Michele Fait e Stefano Zavka che, sfortunatamente, perde la vita. L’impresa viene seguita da una troupe Rai che ne trae un interessante documentario, intitolato K2: il sogno, l’incubo. Sul Collo di Bottiglia, inoltre, Nardi e gli altri vedono cadere tragicamente Nima, uno sherpa, in seguito alla caduta di un masso ma sia gli italiani che gli americani, le coreane e i russi proseguono nell’ascensione. L’arrivo di una bufera complica la discesa dalla vetta e l’impresa diventa un incubo per tutti gli alpinisti coinvolti. Le pagine di questo capitolo sono senz’altro le più drammatiche e coinvolgenti dell’intero volume. In seguito, Nardi riflette sulla pratica alpinistica e sulla fascinazione provocata dalla spalla Tsuro Ri sull’Ama Dablam, sulla quale tenta di salire invano con Andrea Di Donato. Nardi parla, inoltre, della musica che ascolta e i libri che legge durante le sue spedizioni, per poi raccontare la sua scalata del Farol West in stile «fast and light» (p. 109) con Lorenzo Angelozzi che ha richiesto una concentrazione tale da non permettere distrazioni. L’undicesimo capitolo è dedicato all’ascensione in stile alpino del Bhagirathi III con Roberto Delle Monache, durante la quale un chiodo di assicurazione si sgancia e i due rischiano la vita. Dopodiché presenta la lunga sfida tra Daniele Nardi e «la Regina delle Montagne» (p. 119): il Nanga Parbat. L’alpinista affronta la spedizione “Nanga Parbat Winter 2013” grazie agli insegnamenti del suo trainer e mental coach Giuliano Caggiano nonché agli allenamenti presso il Centro preparatorio olimpico di Formia. Ricci incalza Nardi in una sorta di introspezione, alla ricerca di un eventuale senso di colpa per lasciare tutti i problemi «a quota zero» (p. 124) in favore di un’ascensione e l’alpinista ‒ afferma: «il mio desiderio della vetta è una fuga, una ricerca perenne, una smania di quell’infinito senso di libertà» (p. 124) ‒ spiega che per lui Sezze e la sua famiglia rappresentano il campo base da cui, però, deve di volta in volta partire per le sue incredibili avventure. La seconda parte del volume, intitolata emblematicamente Nanga Parbat Winter 2013, si articola in otto capitoli che raccontano la spedizione al Nanga Parbat tra gennaio e febbraio 2013 con l’alpinista francese Elisabeth Revol e il videomaker Federico Santini, avente l’obiettivo di scalare «la Mangiauomini» (p. 129) in inverno dal versante Diamir, attraverso lo sperone Mummery. Il maltempo e gli imprevisti impediscono il compimento dell’impresa, descritta costantemente da Nardi come un sogno, talvolta un incubo, illuminato dal suo maestro ideale, dall’alpinista che nel 1895 ha, primo fra tutti, sfidato il Nanga Parbat senza i mezzi adeguati: Albert Frederick Mummery. La terza parte del volume si intitola Nanga Parbat Winter 2015 ed è costituita da sette capitoli che permettono al lettore di comprendere quanto l’autore sia stregato, quasi ossessionato, dal Nanga Parbat, su cui sale nuovamente ‒ come raccontato nel ventiduesimo capitolo ‒ in solitaria, tra il 2013 e il 2014, e in gruppo con Elisabeth Revol, Roberto Delle Monache e Tomek Mackiewicz ‒ il quale «non nasconde i suoi dubbi sullo sperone Mummery» (p. 183) ‒ nell’inverno 2015. Il gruppo si spezza, per cui Nardi è costretto a tentare la scalata dello sperone Mummery in solitaria per ben due volte ma, infine, si arrende e lascia scritto alla base dello sperone: «Alone in winter, is not possible, by fair means, thanks to have inspired me. D. N.». Subito dopo, come raccontato nel venticinquesimo ed ultimo capitolo, tenta nuovamente la vetta con un gruppo iraniano e Alex Txikon percorrendo la via Kinshofer, senza successo.

Quando scala, usa preferibilmente friend e nut. Fin dalle sue prime esperienze con Onorati e Milani, utilizza trapano e spit per aprirsi le vie, come si legge nel quarto capitolo del volume. È interessante un passo che riporta le parole scritte da Onorati su un quaderno in comune con Nardi e Milani: «finalmente arrivò il fatidico momento del sì, sììì! Avevo i soldi per il trapano. Era la fine della tranquillità delle montagne, della quiete dopo la tempesta, ora c’era solo il rumore del mio trapano che avidamente, dopo anni di forzata astinenza, finalmente esaudiva le mie recondite voglie. In breve, soldi per gli spit permettendo, chiodai un centinaio di vie» (p. 43). Tra le varie attrezzature che porta in quota, Nardi annovera il telefono satellitare, la fotocamera, la telecamera digitale, il modem satellitare e un lettore mp3. Daniele Nardi espone la sua idea di alpinismo e il suo rapporto con la montagna ‒ dalla quale emerge, come afferma più volte nel corso del libro, il «suadente, ammaliante e subdolo canto di sirena» (p. 100) che attira e strega l’alpinista ‒ nel nono capitolo, Himalaya, in cui si dilunga nella profonda riflessione riguardo a questa pratica controversa che troppo speso vede la perdita di vite umane: «è una sfida soprattutto interiore. […]. Mi misuro con me stesso, i miei limiti, le mie paure. Più che un duello, il rapporto tra l’alpinista e la montagna è un dialogo. Ogni passo è una conquista, ma non sarebbe possibile se la montagna stessa non lo concedesse. […]. Il rispetto per la montagna è anche e prima di tutto rispetto per la propria stessa vita» (pp. 99-100). Dopo aver raccontato al lettore di come avventatamente abbia tentato di scalare la spalla dell’Ama Dablam, rischiando la vita sia lui che l’amico Andrea, Nardi conclude il suo ragionamento: «Quel che sento quando salgo per quelle pendici è la libera Armonia con tutto ciò che mi circonda e, in fondo, con me stesso. […]. Forse solo attraverso la montagna riesco ad arrivare all’Armonia con me stesso e con tutte le cose» (p. 104).

 

[Clementina Greco, 29 agosto 2024]

Ultimo aggiornamento

06.02.2025

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