Nasce a Gorizia il 19 luglio 1858. Durante il Ginnasio si dedica alla botanica, passione che corre parallelamente all’alpinismo e alla musica per tutta la vita. Il padre e il precettore Richard Kühnau lo introducono alla cerchia di coloro che fonderanno la Sezione “Litorale” del Club Alpino Tedesco-Austriaco. Dapprima si laurea in Giurisprudenza, poi inizia a gestire la ditta paterna “Pfeifer&Kugy”. Nel 1915, si arruola volontario con l’esercito austro-ungarico per il quale diventa Alpenreferent per la sua profonda conoscenza dei percorsi nelle Alpi Giulie. Al suo ritorno, si dedica esclusivamente alla scrittura, pubblicando libri e articoli riguardanti la sua pratica alpinistica. Muore il 5 febbraio 1944. È stato il primo a scalare la Škrlatica (1880), il Cridola (1884), la Cima Alta di Riobianco (1886), il Gamsmutter (1886) la Cima del Vallone (1890), la Cima Strugova (1898). Apre, inoltre, numerose vie come la “via Kugy” sul Triglav nel 1881 e quelle sul Fuart nei primi del Novecento. Realizza decine di traversate, di ripetizioni, di invernali e compie anche scalate senza guida. Ha scritto Aus dem Leben eines Bergsteigers, München, Bergverlag Rudolf Rother, 1925; Arbeit, Musik, Berge. Ein Leben, München, Bergverlag Rudolf Rother, 1931; Die Julischen Alpen im Bilde, Graz, Leykam, 1933; Anton Oitzinger, ein Bergführerleben, Graz, Leykam, 1935; Fünf Jahrhunderte Triglav, Graz, Leykam, 1937; Im göttlichen Lächeln des Monte Rosa, Graz, Leykam, 1940; Aus vergangener Zeit, Graz, Leykam, 1943.
Titolo: Aus dem Leben eines Bergsteigers
Luogo di edizione: München
Casa editrice: Bergverlag Rudolf Rother
Anno di pubblicazione: 1925
Edizione italiana di riferimento: Dalla vita di un alpinista, trad. Ervino Pocar, Trieste, LINT, 2000
Il volume è stato scritto – come avverte Kugy nella prefazione – tra il 1916 e il 1918, raccogliendo le memorie alpinistiche dello scrittore compiute dalle Alpi Giulie alle Dolomiti, dalle Carniche alle Clautane, dall’Oberland bernese al Delfinato, per concludere con le Prealpi. Il suo amore per la montagna affonda le radici nella letteratura poiché deriva, in particolare, dalla lettura di Entdeckungsreisen in der Heimat. I. Eine Alpenreise, di Hermann Wagner, pubblicato dalla casa editrice Otto Spamer nel 1865. Ancora da scolaro, riesce a leggere Scrambles amongst the Alps: in the years 1860-69 di Whymper, restandone profondamente colpito. Inizia a scalare senza scarpe chiodate e senza piccozza ma solo con un bastone di faggio, mentre in seguito adotta le corde. Le sue prime ascensioni importanti avvengono attorno al Triglav ed è per la Cima Lipa, in Val Trenta, che Kugy comincia a scalare con la guida Andreas Komac che lo accompagnerà per vent’anni, arrampicandosi «con una maestria incomparabile, con meravigliosa agilità, rapidità ed eleganza» (p. 47). Altre guide fondamentali sono Jože Komac, Joseph Croux, Osvaldo Pesamosca e Anton Oitzinger che «furono anche moralmente esempi luminosi» (p. 131). Per Kugy le sue guide hanno un valore eccezionale, la fedeltà, grazie a cui riescono a stabilire un legame indissolubile. Nel volume, costituito da otto capitoli, Kugy ripercorre le proprie imprese alpinistiche non in ordine cronologico quanto piuttosto secondo un criterio geografico, sulla base di una certa vallata o di una determinata montagna. Il susseguirsi di avventure, di incontri, di aneddoti, di imprevisti, di riflessioni e di magnifiche descrizioni dà luogo a un’autobiografia intima e avvincente. La narrazione non è tecnica bensì tenta di restituire al lettore le intense emozioni provate dall’autore nel corso delle sue ascensioni. Si sofferma sulle difficoltà di certi passaggi ma senza drammatizzare gli eventi, perché il suo obiettivo è quello di tramandare le sue conoscenze, le sue impressioni e i suoi suggerimenti ai giovani ai quali dice: «si deve ponderare sempre, osare di rado, e solo quando la probabilità di vincere compensi il rischio» (p. 91). Kugy arrampica con i ramponi, le corde e le piccozze, ma rifiuta categoricamente l’utilizzo dei chiodi sia temporanei che permanenti (della montagna dice: «non contaminatela con colori e chiodi!») (p. 73). Nonostante preferisca la roccia, arrampica anche su ghiaccio e neve, adottando accortezze e precauzioni. L’autore si sofferma a più riprese sull’antropomorfizzazione delle montagne che dall’essere vergini e incontaminate si sono riempite di cartelli, appigli di ferro, iscrizioni, corde ferrate, osterie alpine e, soprattutto, macchie rosse («Che importa al buon membro d’una società il gemito angoscioso della nostra anima? Egli tinge di rosso i posti che ci erano sacri, ci colpisce al cuore col pennello, senza pietà» [p. 96]). Con tali mezzi «s’incatena il gigante, lo si butta a terra e si grida alla folla: “eccovelo, ora lo potete calpestare”» (p. 97). L’alpinista, per Kugy, deve essere «veritiero, nobile, modesto» (p. 11) e deve guardare la montagna non come «un’impalcatura da rampicate» (Ibidem) bensì come «fonte di felicità» (Ibidem). Nonostante le sue eccezionali imprese, Kugy non interpreta l’ascensione come una conquista o come una sfida sportiva, tanto che afferma: «non è detto che tutte le volte si debba raggiungere in montagna una cima; si deve anche saper darsi vinti e accontentarsi del possibile. Della gioia da portar a casa ce n’è sempre» (pp. 56-57). Alla base del suo alpinismo c’è l’amore per la natura ed è illuminante, a tal proposito, un passo del terzo capitolo del volume: «i monti non devono essere i nostri nemici. Non mi è mai piaciuto leggere in qua e là che “si gettava loro il guanto”, che si partiva per “combatterli”, che si opponeva loro, come a nemici, la propria forza. […]. Oh, i monti sono tanto grandi, tanto pazienti! Sopportano molto. E non poche vittorie che paiono mettere in luce l’energia e l’abilità umana, sono, nonostante tutto, dovute alla loro benevolenza: le loro armi tremende erano riposte» (p. 91).
[Clementina Greco, 4 aprile 2024]
Titolo: Arbeit, Musik, Berge. Ein Leben
Luogo di edizione: München
Casa editrice: Bergverlag Rudolf Rother
Anno di pubblicazione: 1931
Edizione italiana di riferimento: La mia vita nel lavoro, per la musica, sui monti, trad. Ervino Pocar, Bologna, Tamari, 1969
Il volume è un’intima autobiografia dell’alpinista giuliano che ripercorre non soltanto le sue esperienze in montagna ma anche i momenti salienti della sua vita personale e familiare. Inizia, dunque, descrivendo Villa Granfenberg a Trieste, dove nasce nel 1858, per poi soffermarsi sui suoi familiari a partire dal padre, titolare della ditta Pfeifer-Kugy, e dalla madre. Prosegue poi con l’influenza benefica della fedele bambinaia Ursc’ka, del precettore di musica Kühnau e degli amici del ginnasio. La conoscenza con Tommasini, esperto di botanica, e con Baumbach, poeta romantico, conduce l’autore sulle montagne alla ricerca di un fiore chiamato Scabiosa Trenta e di paesaggi sublimi. Altrettanto forte, in tal senso, è l’influenza di certi libri illustrati che affascinano Kugy tanto da fargli avvertire «una brama lingueggiante verso le chiare altezze montane» (p. 27), come Esplorazioni in patria di Ernst Wagner, The Dolomite Mountains di Josiah Gilbert e George Churchill e Scrambles amongst the Alps di Edward Whymper. Così l’autore descrive nel primo capitolo il suo approccio all’attività alpinistica: «Non fu un impeto improvviso, ma tutto si svolse passo passo, a grado a grado, con logica e ininterrotta sequenza; tutto secondo una sua intima necessità. Dopo anni di speranza e di attesa, quando lo sviluppo fu compiuto, mi trovai, indubbiamente beato, ebbro di bellezza ed esultante, nel seno radioso della montagna» (p. 27). Kugy dedica numerose pagine a ricostruire l’importanza che, soprattutto negli anni Settanta del diciannovesimo secolo, hanno avuto per lui la musica ‒ suona il pianoforte prevalentemente con la Società Schiller ‒ e la botanica. L’autore racconta di aver scalato il Jalouz nel 1877 e di aver trascorso numerose notti a consultare carte topografiche e a sognare valli, creste e vette da raggiungere. L’anno successivo, Kugy si iscrive all’Alpenverein, iniziando a leggerne le pubblicazioni e a raccogliere informazioni utili per organizzare le future ascensioni. A Vienna, dove porta avanti gli studi di giurisprudenza, l’autore diventa amico di Otto Zsigmondy, di suo fratello Emil e di August von Böhm, «noto per essere il migliore arrampicatore» (p. 69) della città, con i quali intraprende gite, escursioni e scalate che vengono descritte, per la loro natura esplorativa, come «avvolte in un velo di romanticismo» (p. 72). Nel quarto capitolo del volume, Kugy elenca alcune sue ascensioni sulle Dolomiti e sulle Alpi Giulie, per poi dedicare alcune pagine nostalgiche ad alpinisti e guide che, nel corso degli anni, incontra a Zermatt e a Courmayeur. In seguito, lo scrittore indica nel romanticismo, nella tendenza al poetico, nella ricerca della spiritualità l’unica connessione tra la montagna e la musica. Il decimo capitolo, intitolato La mia ultima “prima ascensione”, che si riferisce alla Torre Nord del Montasio, è l’unico che riporta i dettagli tecnici della scalata, avvenuta nel 1910 con le guide Osvaldo Pesamosca e Anton Oitzinger. Successivamente, Kugy racconta i lutti familiari, l’effetto catastrofico della guerra sull’attività lavorativa e personale, la decisione di farsi aiutare da uno psichiatra di Vienna e la conseguente scelta di scrivere un’autobiografia sul suo passato glorioso per rigenerare lo spirito e la psiche. Un’appendice riguardante alcuni monti, un breve capitolo commemorativo per Oitzinger e Pesamosca e un epilogo, in cui riferisce di vivere da solo, suonando e tenendo conferenze alpinistiche, concludono il volume di Kugy.
La scrittura dell’autore è elegante, intima e pregna di nostalgia. Delle ascensioni lo scrittore restituisce più le emozioni provate di fronte a certi paesaggi che dettagli tecnici e pratici su come le abbia effettuate. È interessante come nel terzo capitolo Kugy marchi un solco tra il suo alpinismo e quello successivo: «E come era intimo il mio colloquio coi monti che però non potei né volli mai separare dalla grandezza e dalla bellezza della natura […]. E come mi tuffavo nei pernhartiani panorami del Tricorno e del Grossglockner, dove ogni monte aveva qualcosa da dirmi, dove […] cercavo di immaginare su quelle cime l’esultanza che un giorno avrei forse potuto godere. Ne hanno un’idea i giovani dalle tendenze moderne che hanno l’abitudine di raccogliere informazioni frettolose per sapere dove ci sarebbe ancora da fare “qualcosa di nuovo” e poi vanno ad arrampicarsi per la “conquista” del macigno?» (pp. 58-59). Spiega, inoltre, che se negli anni Trenta del Novecento gli alpinisti cercano di tracciare la via ardita e pericolosa, alla fine dell’Ottocento l’intento era di individuare il percorso più facile per rendere il monte accessibile. Riguardo alla concezione del pericolo, in particolare, scrive: «Oggi l’alpinismo ha imboccato vie nuove, mai immaginate, alquanto audaci. Ma quanto più ci si allontana dallo spirito, dall’anima, che lo deve sempre permeare, quanto più si insiste sul mezzo per giungere al fine, sul lato tecnico, materiale, quale fine a sé stesso, tanto più mi sembra che si avvicini una svolta. Ogni esagerazione, infatti sfocia infallibilmente, con le sue ultime conseguenze, nel discernimento e nella correzione. Non dobbiamo dimenticare che la morte in montagna non è sempre una fine eroica, ma assai spesso una grande stupidaggine» (p. 77). Altrettanto rilevante è la riflessione riguardo all’adozione delle guide che, tra gli anni Settanta e Ottanta del diciannovesimo secolo viene valutata dagli alpinisti ‒ secondo quanto riporta Kugy ‒ da un punto di vista prettamente finanziario. Nonostante effettui alcune ascensioni senza guida, soprattutto per l’influenza dei Zsigmondy e di Purtscheller, l’autore prende la decisione di effettuare le sue scalate con guida e afferma: «Preferii andare in montagna da “padrone”. Si sa bene che non andavo a fare “il secchio”. Lasciavo volentieri ad altri il lavoro materiale» (p. 75).
[Clementina Greco, 11 novembre 2024]
Ultimo aggiornamento
06.02.2025