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D'Angeville Henriette (1794-1871)

Nasce a Semur-en-Brionnai, in Borgogna, nel 1794 da una famiglia aristocratica che, in seguito alla rivoluzione, è costretta a trasferirsi a Hauteville-Lompnès nel Bugey, tra le montagne del Giura. Fin da giovane, la contessa si appassiona di alpinismo, geologia e speleologia. Fonda un museo di mineralogia a Losanna, dove muore nel 1871. Si ricorda per aver scalato più di venti vette alpine ma è famosa, in particolare, per l’ascensione al Monte Bianco del 1838 che, nonostante sia preceduta da Marie Paradis nel 1808, si può annoverare come prima femminile del Bianco. Scrive Mon excursion au Mont-Blanc, Paris, Arthaud, 1987.

 

Titolo: Mon excursion au Mont-Blanc

Luogo di edizione: Paris

Casa editrice: Arthaud

Anno di pubblicazione: 1987

Edizione italiana di riferimento: Io, in cima al Monte Bianco. Racconto di un’ascensione, trad. Sergio Atzeni, Torino, Vivalda, 1989.

 

Il volume, prefato da Roger Frison-Roche, è costituito da un’introduzione e da tre parti disomogenee. Nell’introduzione, l’autrice racconta di aver scalato il Mont Joli e di essersi recata al Jardin nel 1838 senza avvertire «la fatica di cui si lamenta la maggior parte dei viaggiatori» (p. 13) perché abituata alle rigide condizioni climatiche montane e all’impegno fisico richiesto da tali luoghi. È proprio durante queste due escursioni che nasce in lei ‒ come racconta ‒ il desiderio di scalare il Monte Bianco; inizia la progettazione dell’impresa di lì a poco a Ginevra, dove suscita scalpore perché «là più che altrove si ama inquadrare tutti negli schemi tradizionali, e nulla sbalordisce più di un’azione che fuoriesca dai solchi della vita abitudinaria e ordinata» (p. 14). A questo punto, d’Angeville offre al lettore le sue motivazioni affermando di non essere attratta dai posti visitati da altri e di essere tra coloro che «alle scene pittoresche e graziosissime che la natura sa offrire preferiscono gli spettacoli grandiosi» (p. 15). Tra le concause che la spingono all’impresa, è interessante che voglia essere la prima donna in grado di valutare e trasmettere le sue impressioni, avendo un sentire «diverso, talvolta di gran lunga, da quello maschile» (p. 16). Nonostante le numerose «profezie infauste» (p. 17) rivoltele dai suoi oppositori, decide di preparare l’ascensione e sono proprio le operazioni preliminari ad occupare la prima parte del volume. Nel primo capitolo, si mette in contatto epistolare con il comandante delle guide di Chamonix, si reca dal medico per ricevere indicazioni igieniche da rispettare prima e durante l’ascensione, viene informata dal console di Sardegna di un’imminente scalata al Monte Bianco da parte di una cordata britannica e parte per Saint-Martin. Dopodiché racconta la sosta presso il castello di Bonneville, soffermandosi sul tentativo di estorsione da parte del signor Lafin, padrone dell’albergo Bellevue. D’Angeville riesce comunque a giungere a Chamonix, così come riportato nel terzo capitolo, dove chiama a raccolta le guide prenotate ‒ Joseph Couttet, Pierre-Joseph Simond, Mathieu Balmat, David Folliguet, François Desplan e Anselme Tronchet ‒ e fa preparare i viveri necessari all’ascensione. L’autrice riporta nel capitolo successivo le scommesse fatte contro di lei, tra le quali spicca quella della guida Julien Dévouassoud che offre ben mille franchi contro cento soldi sulla sciagura della spedizione. In questo clima di tensione, appesantito dall’esempio infausto dell’impresa del dottor Hamel del 1820, si ritirano sia Balmat che Folliguet, i quali vengono sostituiti da Jacques Simond e Michel Favret.  In seguito, l’autrice racconta di venire a conoscenza solo il giorno prima dell’ascensione di altre due spedizioni organizzate per il lunedì prescelto: una polacca e una tedesca. In molti propongono di unire i tre gruppi ma d’Angeville scrive a tal proposito: «io rifiutai formalmente, sia perché durante l’ascensione volevo concentrarmi sulle mie impressioni, sia perché il rispetto del decoro suggeriva che una donna in viaggio sola, senza alcun uomo della sua famiglia, non poteva né doveva associarsi a stranieri, neppure per caso» (p. 42). Interessante il sesto capitolo, intitolato Autoritratto, in cui l’autrice si astiene dal descrivere il proprio carattere ma pone l’attenzione sull’età: «a quell’epoca avevo quarantaquattro anni, cinque mesi, ventiquattro giorni» (p. 44), contraddicendo certi giornali francesi che la dipingono come una giovane signorina che si avventura ingenuamente sul Monte Bianco. Segue una descrizione fisica, familiare e professionale delle sue guide. In conclusione, d’Angeville teme di provocare «in un solo colpo sei vedove e ventisette orfanelli» (p. 49), ma l’ottimismo la fa procedere nel suo progetto. L’ottavo capitolo, inoltre, è dedicato ai sei portatori di cui traccia un breve profilo biografico e questo è senz’altro un elemento interessante del volume, dato che numerosi racconti di ascensioni non rivelano nemmeno i nomi di tali importanti figure. L’autrice offre, infine, uno spaccato delle comunità alpine di fine Ottocento, animate da persone umili, laboriose e superstiziose. Si offre, inoltre, una descrizione approfondita sulla preparazione dei bagagli, concludendo così la prima parte. La successiva, dedicata alla vera e propria ascensione, si apre con una riflessione di d’Angeville che si appresta, finalmente, all’impresa: «era dunque giunto il momento tanto agognato!... Ancora poco tempo e le più imponenti scene della natura mi si sarebbero mostrate!... Mi sentivo degna di apprezzare tutta la poesia e la grandezza dello spettacolo. La fonte di quella specie di esaltazione (l’esaltazione è sempre necessaria per imprese di quel genere) non era la minuscola e vana gloria d’essere la prima donna che avrebbe osato misurarsi con quel percorso. Avevo il presentimento del benessere spirituale che ne avrei tratto» (p. 62). Dal successivo, il gruppo inizia a percorrere il ghiacciaio dei Bossons dove dapprima ‒ sulla base di quanto narrato ‒ l’alpinista usa la corda, poi il bastone e, infine, si arrampica libera, imitando le guide davanti a lei. Dopodiché è la volta dei Grands Mulets, passaggio complesso dell’impresa che viene riportato con dovizia di particolari. Vengono menzionati anche minerali, piante e animali presenti in alta quota, nonché i canti effettuati dalle tre cordate riunite per la notte ai Grand Mulets. Nel sedicesimo capitolo, l’autrice riprende il racconto dell’ascensione fino al Petit e al Grand Plateau, passando per pericolosi crepacci. Da questo momento, d’Angeville inizia a soffrire terribilmente il freddo e annota tutte le sensazioni e i disagi fisici, come l’intorpidimento delle dita, provocati da esso, soffermandosi anche sulle condizioni di salute dei suoi compagni di viaggio, affetti da nausea, emicrania, palpitazioni, dolori muscolari ecc. Dopo aver raggiunto il Corridor, l’ascensione diventa sempre più complessa, così come viene puntualmente descritto da d’Angeville, dovendo superare «una muraglia alta più di trecento piedi» (p. 98). Nel corso di questa parte della scalata, d’Angeville afferma di addormentarsi qualche minuto ad ogni sosta, a causa delle palpitazioni eccessive che la opprimono, preoccupando notevolmente le guide. Infine, tra notevoli sforzi, Henriette d’Angeville giunge sulla vetta del Monte Bianco, così come raccontato nel diciannovesimo e nel ventesimo capitolo. Su di essa, dopo essersi goduta l’eccezionale spettacolo offerto dalla natura, le guide Coutett e Desplan la sollevano sopra di essi, per farla giungere dove nessun uomo è mai giunto. Dopodiché, l’autrice narra la discesa e il ritorno a Chamonix, dove viene accolta «come una regina» (p. 122). Interessante il ventiquattresimo capitolo in cui d’Angeville riporta ‒ sulla base di quanto detto successivamente dalle persone del luogo ‒ come sia stata vissuta l’ascensione dalla gente di Chamonix, tra preoccupazioni e preghiere. La terza parte del volume, intitolata Dopo l’ascensione, è costituita da soli cinque capitoli, il primo dei quali racconta l’incontro e la conversazione tra d’Angeville e Marie Paradis che si definiscono «sorelle del Monte Bianco» (p. 131). Dopo un banchetto di festeggiamento, d’Angeville scrive la sua attestazione sui libretti delle guide e si dilunga, nel ventiseiesimo capitolo, in elogi e ringraziamenti nei confronti di questi otto montanari con i quali, dichiara, non ha «visto né sentito altro che ciò che si sarebbe potuto vedere o sentire in un salotto della migliore società» (p. 140). Segue un capitolo dedicato a Diane, la cagnolina di Eisenkraemer, capo spedizione di una delle altre due cordate, salita sul Monte Bianco con il suo padrone. Il volume si conclude con due capitoli dedicati alla partenza da Chamonix e al ritorno a Ginevra. La scrittura di Henriette d’Angeville è brillante, ironica e sagace. Il ritmo della narrazione è piuttosto veloce ma l’autrice incede su numerosi dettagli che restituiscono in modo realistico i tratti dell’avventurosa vicenda. L’ascensione descritta da d’Angeville prevede l’uso di corde, di bastoni e di una scala, mentre i bivacchi vengono costituiti con le tende. L’alpinismo, per d’Angeville, è mettersi alla prova, godere dello spettacolo della natura grazie alla forza di volontà che, a più riprese, viene menzionata dall’autrice come una sua marca caratteriale di fondamentale importanza.

 

[Clementina Greco, 8 luglio 2024]

Ultimo aggiornamento

05.02.2025

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