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Comici Emilio (1901-1940)

Nasce a Trieste nel 1901.Con alcuni amici fonda l’associazione sportiva “XXX Ottobre” per la quale partecipa a gare podistiche e ad escursioni speleologiche. Inizia a scalare nel 1925 e quattro anni dopo è tra i fondatori di GARS, il Gruppo Alpinisti Rocciatori e Sciatori del CAI di Trieste. In seguito, crea la Scuola di Roccia di Val Rosandra e diventa guida, nonché maestro di sci, a Misurina. Nel 1938 si trasferisce a Selva in Val Gardena, dove dirige la Scuola Nazionale di Sci e viene nominato podestà di Selva e di Santa Cristina. Nel 1939 partecipa alla disfatta di Caporetto con il grado di caporale maggiore. Nel 1940 muore esercitandosi sulla palestra di roccia della Gardeccia, in Vallelunga, a causa della rottura di una corda. Tra le innumerevoli ascensioni significative, si annoverano: la parete Nord della Torre Innominata con Giordano Bruno Fabjan (1927); la parete Nord della Cima di Riofreddo con Fabjan (1928); la parete Ovest del Monte Cimone del Montasio con Fabjan (1929); le Tre Sorelle del Sorapis con Fabjan (1929); la parete Ovest del Dito di Dio con Fabjan (1929); la diretta dal versante Ovest della Torre del Diavolo con Mario Salvadori (1930); la parete Nord-Ovest del Monte Civetta con Giulio Benedetti (1931); lo Spiz di Lagunaz (1932); la parete Nord della Cima Grande di Lavaredo con Giovanni e Angelo Dimai (1933); la parete Ovest dello Zuccone Campelli con Riccardo Cassin, Mario Dell’Oro, Mary Varale e Mario Spreafico (1933); lo spigolo Sud-Est del della Cima Piccola di Lavaredo con Varale e Renato Zanutti (1933); la parete Est della Punta Frida con Fabjan, Vittorio Cottafavi e Gianfranco Pompei (1934); lo spigolo Sud della Torre Piccola di Falzarego con Varale e Sandro Del Torso (1934); lo spigolo Nord-Ovest della Cima Piccola di Lavaredo con Piero Mazzorana (1936); la parete Est della Torre Comici con Del Torso e Zanutti (1936); la parete Nord del Dito di Dio con Mazzorana e Del Torso (1936) e la parete Nord del Salame del Sassolungo con Severino Casara (1940). Si ricorda per aver scritto Alpinismo eroico, Milano, Hoepli, 1942 e Con me, a scuola di sci, Milano, Hoepli, 1945.

 

Titolo: Alpinismo eroico

Luogo di edizione: Milano

Casa editrice: Hoepli

Anno di pubblicazione: 1942

Edizione di riferimento: Alpinismo eroico, Bologna, Tamari, 1961.

 

Il volume si apre con una prefazione che dà conto delle modifiche effettuate nella seconda edizione: rispetto all’originale, sono stati eliminati dei capitoli non di carattere alpinistico e ne sono stati aggiunti di inediti, per volere del Comitato delle Onoranze che ha curato la seconda edizione. La prefazione è seguita da un profilo biografico dell’autore. Il volume è poi suddiviso in due parti: Il libro di Emilio Comici, costituito da venti capitoli, e Ricordando Emilio Comici, contenente le testimonianze di molti amici alpinisti, come Spiro Dalla Porta Xydias e Julius Kugy. Il libro si conclude con l’elenco di prime ascensioni di Emilio Comici, comprendente la data, i compagni e la collocazione geografica della cima o della parete in questione. Nel primo capitolo, l’autore racconta l’ascensione del 1925, compiuta con Giulio Debenedetti, sul Campanile di Villaco, così descritta da Comici: «Si sale, si sale, con una forte volontà di vincere. […]. Stretti e muti contempliamo quel vuoto: sentiamo nell’intimo di essere giunti lassù sospinti da una forza sconosciuta, inebriati dalla lotta contro la Montagna asperrima» (pp. 15-16). L’autore si sofferma poi sul fascino delle pareti delle Madri dei Camosci, raccontando poi le ascensioni compiute: «Contemplavo, estatico, quelle muraglie che mi attiravano con forza piena di lusinghe e incanto; e mi struggevo dal desiderio di toccarle, di possederle, di penetrare nei loro misteri per ricavarne emozioni indicibili e impensate» (p. 19). In seguito, racconta la scalata del Montasio, compiuta con Giorgio Brunner e Riccardo Deffar nel 1928, ed è interessante perché per la prima volta Comici si cimenta con il ghiaccio e la neve, ciononostante risolve e supera il “problema” della Gola del Vert Montasio. Seguono capitoli dedicati ad altre ascensioni eccezionali, come quelle nel Gruppo del Sorapis, della Torre Dario Mazzeni, della Cima di mezzo della Croda dei Toni, della Cengia degli Dei nel Gruppo del Jof Fuart grazie a «una nuova forma di arrampicamento, non verticale, come al solito, ma orizzontale» (p. 63), della direttissima sulla parete Nord-Ovest del Civetta. Nell’undicesimo capitolo, l’autore racconta delle scalate compiute in Grecia con Anna Escher nel giugno 1934. In seguito, Comici descrive l’ascensione attraverso la parete Sud della Cima d’Auronzo con Severino Casara e riferisce di essere tornato a scrivere, dopo un lungo silenzio, solo a causa di una temporanea infermità. È piuttosto drammatico il sedicesimo capitolo in cui l’autore racconta della frana del Pomagnon del 26 luglio 1939 che colpisce lui e Osiride Bovedani. Di quegli attimi convulsi, Comici scrive: «Durante quella breve corsa, ho sentito la Morte che mi ghermiva alle spalle, perché la frana era già piombata sul ghiaione con un fracasso terribile. […]. Ero certo che quello era il mio ultimo istante di vita. Tanti, tanti pensieri sono passati attraverso il mio cervello nello spazio di pochi secondi: tutta la mia vita alpina e l’amarezza di una fine così ingloriosa. […]. Per quanto triste e grama sia la mia vita su questa terra, è preferibile molto all’incertezza che provai allora per la mia esistenza dopo la Morte. […]. Ma io non volevo, non volevo morire» (pp. 111-112). Il diciassettesimo, il diciottesimo e il diciannovesimo capitolo riportano le relazioni tenute da Comici per alcune conferenze, tra cui spicca Tecnica e psicologia dell’arrampicamento nella quale l’autore descrive dettagliatamente il modo di procedere nella scalata di grado in grado. Bisogna notare che Comici, adoperando anche alcune illustrazioni esplicative, insiste principalmente sull’importanza dell’assicurazione anche nei passaggi semplici. L’ultimo capitolo della prima parte è costituito dal Manuale dell’arrampicatore, l’abbozzo di un libro mai concluso dall’autore, che ha l’intento di preparare moralmente e tecnicamente l’alpinista. Comici inizia affermando: «In Montagna, e sulle rocce in particolare, si deve andare per provar sensazioni belle e sane, e cioè per vivere e non per morire» (p. 163). Seguono gli interessanti paragrafi Il decalogo del rocciatore, Che cosa è l’arrampicamento? ‒ nel quale scrive «L’alpinista non va in Montagna pazzamente ad ammazzarsi, bensì per bearsi di luce, di colori, di spazio, di vita; per riposare lo spirito, per ritemprarlo ed innalzarlo» (p. 166) ‒ e altri dedicati alle doti fisiche del vero alpinista. La seconda parte del volume comprende gli interventi di Duilio Durissimi, Spiro Dalla Porta Xydias, Giordano Bruno Fabjan, Mario Salvadori, Renato Zanutti, Sandro Del Torso, Giuseppe Inaudi, Joza Lipovec, Anna Escher e Arturo Dalmartello. Lo stile di Comici è elegante ma troppo spesso eccede in toni enfatici. L’autore descrive dettagliatamente sia paesaggi che manovre tecniche di arrampicata, comprendendo anche il racconto di tentativi falliti. Riguardo agli attrezzi da lui utilizzati per le ascensioni, Comici scrive: «A quelli che arricciano il naso, devo dire che l’alpinista parte per la scalata unicamente con corda e cordino, con martello, chiodi e moschettoni. Altri mezzi artificiali non sono ammessi. Naturalmente, con denaro e tempo, si potrebbe rendere accessibile qualsiasi parete. Basta mandarvi una squadra di operai specializzati, a ferrarla! Però questo non sarebbe più alpinismo» (pp. 148-149). L’autore insiste particolarmente sui cordini ‒ che, a suo avviso, devono essere di canapa italiana ritorta di 6-8 mm ‒ e sui chiodi di ferro che, per la sua esperienza, devono servire più per le fenditure orizzontali che per quelle verticali. L’autore vive l’ascensione alpinistica come una lotta contro gli elementi naturali. Già all’inizio, Comici chiarisce come avverta la necessità di arrivare alla cima ‒ «Ma la vetta è là: bisogna raggiungerla a qualsiasi costo» (p. 16) ‒ per poter effettivamente affermare di aver domato la montagna. L’autore tenta di descrivere in modo conciso il sentire di chi scala: «Così è fatto l’animo dell’alpinista: più tempo passa lontano dai Monti, più lo punge il desiderio di tornarvi, e con maggiore nostalgia rievoca le emozioni di certi momenti grandiosi vissuti sulla parete, conquistando palmo a palmo il terreno, vivendo sempre nell’incertezza di ulteriori difficoltà da affrontare. Bello e intenso è il vivere, quando, legati ad una corda […] si combatte la battaglia con il Monte. Bello e intenso è il vivere, perché la vita può sfuggirci di momento in momento, e le più belle ore di vita sono appunto quelle in cui essa è il pericolo: solo allora ne misuriamo il giusto valore» (p. 41).

 

[Clementina Greco, 29 ottobre 2024]

Ultimo aggiornamento

05.02.2025

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