Nasce a Reviano, in provincia di Trento, nel 1926 da una famiglia umile. Poiché entrambi i genitori lavorano, è il nonno a prendersi cura di Armando, crescendolo nella valle di Cavazzin sopra Nogaredo. Quando il padre viene chiamato al fronte, Armando è costretto a smettere di studiare e inizia a lavorare come fattorino in un’azienda di spedizioni. Dal 1943, la Wehrmacht lo precetta per lavorare alle ex caserme di cavalleria di Maia Bassa, presso Merano. In seguito, diventa operaio della Manifattura Tabacchi di Rovereto. Da giovane entra a far parte dell’associazione “Ezio Polo” tramite la quale inizia ad arrampicare. Muore a Rovereto nel 2017. Si ricorda per aver aperto numerose vie sulle Ande e sulle Dolomiti, tra cui sulla Cima d’Ambiez (1952); sulla Cima di Pratofiorito (1953); sulla Punta Civetta (1954); sul Monte Serauta (1958); sul Focobon (1958); sul Crozzon di Brenta (1959); sulla Cima dei Mugoni (1961); sul Campanile Basso (1961); sulla Cima Ombretta (1964); sulla Punta Rocca (1965). A queste si aggiungono numerose solitarie, invernali e spedizioni internazionali. Scrive Pilastri del cielo, Trento, Reverdito, 1975; Cuore di roccia, Calliano, Manfrini, 1988; Alpinismo epistolare. Testimonianze, Belluno, Nuovi Sentieri, 2011; Commiato. Riflessioni conclusive di un alpinista dilettante in congedo, Belluno, Nuovi Sentieri, 2013; Stagioni della mia vita, Belluno, Nuovi Sentieri, 2015; Nella luce dei monti. Pensieri e sguardi d’insieme, Belluno, Nuovi Sentieri, 2015; L’Angelina. Vita agreste di un tempo lontano, Belluno, Nuovi Sentieri, 2017.
Titolo: Cuore di roccia
Luogo di edizione: Calliano
Casa editrice: Manfrini
Anno di pubblicazione: 1988
Il volume è un fototesto dal contenuto piuttosto eterogeneo: alle fotografie di montagne, di alpinisti e di fiori si alternano, infatti, testi poetici, brevi riflessioni, remoti ricordi familiari e, soprattutto, racconti di ascensioni. In conclusione si trova un’appendice contenente alcune relazioni tecniche di scalate significative. La presentazione, scritta dall’amico Cesare Maestri, delinea già il tipo di alpinista ‒ e di uomo ‒ che è Armando Aste: «la montagna diventa un pertugio per sfuggire al grigiore della monotona routine quotidiana e l’alpinismo un mezzo per “Essere” e non certo per “Avere”, e così fedele a questo principio Armando rafforza la resistenza al sacrificio, l’impegno religioso, il rispetto per i valori umani» (Maestri, p. 10). Nel brano Canto della valle l’autore racconta come sia sorto in lui l’amore per la montagna quando, da piccolo, si avventurava tra le pareti rocciose presso l’abitazione dei nonni. La prima ascensione narrata risale al 31 luglio 1953 quando, con l’amico Fausto Susatti, attacca la parete Est della Cima Sud di Pratofiorito. Dopodiché è la volta della solitaria della via Graffer allo “Spallone” del Campanile Basso, vissuta con timore e, al contempo, esaltazione. Giunto in vetta, Aste scrive: «Mi richiusi in me stesso. Ad ascoltare. Perché nessun motivo dell’armonia, che arpeggiava intorno, andasse perduto» (p. 22). Le ascensioni si susseguono, in solitaria o in cordata, ‒ una nuova via nella parete Nord-Ovest della Punta Civetta; la prima solitaria della via Tissi sulla Torre Venezia; la prima ascensione della via Concordia sulla Cima d’Ambiez; la parete Sud-Est della Tofana di Rozes ecc. ‒ e Aste si sofferma sull’attesa, sulle emozioni provate nel corso della salita, sui panorami mozzafiato, tralasciando a volte i meri dettagli tecnici. Interessante il corposo capitolo Diario del sesto grado, organizzato in brevi paragrafi, che racconta di ascensioni significative compiute da Aste dal luglio 1956 ‒ come il diedro Nord-Ovest del Civetta ‒ al settembre 1961. Numerose considerazioni vengono dedicate al ricordo degli amici Fausto Susatti e Andrea Oggioni, scomparsi prematuramente durante una scalata, e riflette: «Quante giovani vite troncate dalla passione alpina. Quante croci. Le vie della montagna sono costellate di queste croci… dolorosamente» (p. 70). Dopodiché, Aste dedica un capitolo all’amico Armando Biancardi, alpinista e giornalista di montagna, che ammira come un maestro. In seguito, torna a descrivere le sue ascensioni, dall’eccezionale parete Nord dell’Eiger alle eccezionali scalate sulle Ande che, per numero e rilevanza, vengono raccolte nei capitoli Diario patagonico e in Il pilone ha detto no. Nel breve brano Sottovoce Aste polemizza brevemente per l’impatto che innovazione, tecnologia, turismo e trasporti ha sui luoghi montani. Nel capitolo Cuore di roccia, l’autore racconta la dolorosa spedizione di recupero, nel 1975, delle salme degli amici Filippo Frasson e Marco Bianchi caduti sul Fitz Roy. Nei capitoli successivi ricorda, invece, suo padre e Marino Stenico, alpinista considerato da lui come un maestro. È riportata, inoltre, un’intervista pubblicata sulla rivista «Giovane Montagna» nel numero di aprile-giugno 1981. Seguono la poesia L’assillo; il racconto dell’ascensione al Cuerno Sur del Paine del 1983; un capitoletto che raccoglie le sue riflessioni riguardo alla pratica alpinistica; un capitolo riguardante una spedizione in Patagonia del 1985; la poesia Preghiera della sera e un pensiero al fratello Antonio colpito dalla meningoencefalite virale. In Le tavole della legge, Aste ragiona sulla convinzione di Reinhold Messner ‒ alpinista da lui molto stimato ‒ che non esista la morale e che, soprattutto, non vada cercata nell’alpinismo. Secondo l’autore, al contrario, la morale esiste e viene indicata da Dio attraverso i Comandamenti, i quali devono guidare l’essere umano in ogni circostanza, anche durante un’ascensione. Il volume si conclude con il testo poetico Ultima ascesa e il breve capitolo Finire in cui si dichiara «deluso di certa specie di fauna che frequenta le incomprensibili altezze dei monti» (p. 275).
Il linguaggio è evocativo, il lessico è tendenzialmente ricercato e la sintassi è caratterizzata da periodi molto brevi. Dalla lettura del volume, emerge come Aste sia principalmente rocciatore, talvolta solitario talaltra in cordata. Utilizza corde, moschettoni, staffe e chiodi, solitamente si lega ma non è raro che proceda in libera. L’autore chiarisce il senso del suo alpinismo in un brano collocato all’inizio del volume, Il passo, in cui scrive: «Ritorni alla montagna che non può ingannare. A lei dai tutto l’amore che gli altri non hanno voluto. E lassù ti rifugi quando appena ti è concesso. Lassù scopri te stesso. Riveli a te stesso la tua statura. Ritrovi fiducia nei valori veri della vita. Quasi una “compensazione” […] per quanto hai dovuto sopportare in umiliazioni, in restrizioni, in dolori» (p. 18). La conoscenza di sé e l’autoaffermazione sono alla base della sua attività alpinistica che, lungi dall’essere una ricerca di gloria o di fama, rappresenta «un mezzo […] per giungere al solo grande unico ideale: la Conoscenza. Che è poi il possesso di Dio» (p. 35).
[Clementina Greco, 14 ottobre 2024]
Ultimo aggiornamento
05.02.2025