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Edward Whymper

 

Nato a Londra il 27 aprile 1840 dal celebre acquerellista ed incisore Josiah Wood Whymper, Edward si reca per la prima volta nelle Alpi centrali ed occidentali nel 1860 con lo scopo di realizzare alcuni disegni. L’anno successivo compie la sua prima ascensione sul Mont Pelvoux. È il primo ad ascendere il Grand Tournalin (1863), il Barre des Écrins (1864), il Monte Dolent (1864), l’Aiguille d’Argentière (1864), il Grand Cornier (1865), la Punta Whymper (1865), l’Aiguille Verte (1865), il Chimborazo (1880) e il Cayambe (1880). La sua impresa alpinistica più celebre, però, è la prima ascensione del Cervino, la «montagna sublime» (p. 200), il 14 luglio 1865, rimasta nella storia anche per la morte, durante la discesa, di ben quattro componenti della cordata (Charles Hudson, lord Francis Douglas, Douglas Robert Hadlow e Michel Auguste Croz). Muore nel 1911 a Chamonix. Scrive anche The ascent of the Matterhorn, London, John Murray, 1880; Travels Amongst the Great Andes of the Equator, London, John Murray, 1892; How to use the aneroid barometer, London, John Murray, 1891; Chamonix and the range of Mont Blanc: a guide, London, John Murray, 1896; A Guide to Zermatt and the Matterhorn, London, John Murray, 1897.

 

 

Scrambles amongst the Alps: in the years 1860-69

Luogo di edizione: Londra

Casa editrice: John Murray

Anno di pubblicazione: 1871

Edizione italiana di riferimento: Scalate nelle Alpi, trad. Adolfo Balliano, Torino, Montes, 1933

 

L’autore ripercorre in questo volume le sue imprese alpinistiche dal 1860 in poi, raccontando la preparazione di ogni scalata, i tentativi falliti – sono sei quelli al Cervino – e la competizione con gli altri alpinisti, da Tyndall ai gruppi di italiani. Si sofferma più volte sul rapporto controverso con le guide, talvolta impreparate e disoneste, talaltra esperte – tra cui spiccano Melchior Anderegg e Michael Croz - e corrette. Dal sedicesimo capitolo, Whymper racconta approfonditamente le vicende che portano alla tragica ascensione del Cervino del 14 luglio 1865, con una cordata creata velocemente per anticipare la spedizione italiana di Quintino Sella. Dal punto di vista ambientale, l’autore riferisce del ritiro dei ghiacciai e di cambi morfologici del territorio alpestre. Il suo rammarico, in tal senso, è rivolto alle località interessate da tali cambiamenti. Il volume è ricco di illustrazioni realizzate da Whymper, che vedono la centralità della montagna: l’alpinista non è il protagonista. Il libro è corredato da un’appendice costituita da: Seguito della storia del Cervino e Verbale dell’inchiesta ufficiale. La prosa è descrittiva e asciutta, ci sono alcune ellissi temporali e in vari passi del testo si riscontra l’uso di una certa ironia. L’attenzione dell’autore ricade principalmente sulle difficoltà e sui pericoli della pratica alpinistica, rimarcando il suo coraggio. Si nota un intento romanzesco nel riportare dialoghi e nel descrivere le sue mirabolanti imprese. Sono presenti delle riflessioni sull’arretratezza delle comunità montane italiane. Whymper rivolge particolare attenzione alla descrizione tecnica della pratica alpinistica, fornendo spiegazioni significative riguardo alle sue scelte. Inizialmente arrampica con salti, scivolate e l’ausilio di un bastone, dopodiché userà anche una piccozza. Bivacca esclusivamente in tende costituite da una tela di cotone (forfar) e dei semplici pali di legno, per un peso complessivo di 8,3 Kg. Usa la stessa corda di Manilla per arrampicare e per sostenere la tenda. Per alcuni passaggi complessi utilizza delle scale. Inventa un gancio a rampone di 12 m e apporta una modifica nella procedura di discesa: attacca un anello di ferro forgiato a uno dei capi della corda. In cordata, le guide scalinano e tutti sono legati a circa 5 m di distanza l’uno dall’altro. Compie alcune imprese in solitaria. Dalla lettura del testo, si evince come per l’autore esista un legame indissolubile tra alpinismo, esplorazione e competizione. Arrampica sia sulla roccia che sulla neve. Lo studio dell’itinerario è per lui fondamentale per procedere, si assume solo rischi calcolati. Ad ogni ascensione porta via un frammento di roccia per poterlo studiare. «Ciò che in tali arrampicate entusiasma lo scalatore è che esse l’obbligano a fare appello a tutte le sue facoltà, a tutte le sue forze fisiche, a tutta la sua abilità, per superare gli ostacoli» (p. 41). Una volta giunto in vetta, Whymper assapora la felicità ma sostiene che la vaghezza delle sensazioni non permette allo scalatore di goderne a lungo. La pazienza, il coraggio, la forza d’animo e la perseveranza sono, per lui, le doti più importanti di un alpinista che non deve fidarsi troppo della sua forza brutale. L’esercizio di tali funzioni per una scalata li fa tornare più forti alla quotidianità.

[Clementina Greco, 29/05/2024]

 

 

Ultimo aggiornamento

05.06.2024

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